Ecco i racconti degli scopri-teller di SienaSalute su Ettore Bastianini dopo la passeggiata del 1° agosto per le vie della Città. L’iniziativa è organizzata dalle guide Federagit Siena Confesercenti. Il prossimo appuntamento è giovedì 8 agosto.
1.Il mio sogno
di Barbara Rosini
Questo è sempre stato il mio sogno, di diventare un cantante lirico e di calcare i più grandi palcoscenici sia italiani che quelli oltreoceano.
Mi presento, sono Ettore Bastianini, nato nella contrada della Pantera.
Sono cresciuto senza un padre e di origini umili, dal carattere scanzonato, spontaneo, allegro.
Mi sono ritrovato a fare il garzone di bottega da Gaetano Vanni, famoso pasticcere melomane di Siena. Ho sempre avuto la passione per il canto, tanto da cantare anche mentre consegnavo le paste con la bicicletta.
Ed è proprio grazie al Vanni che conoscerò la famiglia Ammannati che mi permetteranno di iniziare una carriera come basso.
Infatti, è proprio Fathima che si accorgerà che la mia chiave era di basso.
Finalmente, il mio sogno si realizzò nel 1940. Debuttai in una serie di concerti a Siena e dintorni.
Nel 1941 mi presentai accompagnato dal maestro Adelmo al concorso presso il centro di Avviamento al Teatro Lirico del Comunale di Firenze, allora diretto da Mario Labroca, vincendolo.
Esordii il 16 novembre del 1945 a soli 23 anni al Teatro Alighieri di Ravenna nel ruolo di Colline ne La Bohème.
Nello stesso anno conobbi Diva a Forlì,giovane cantante e che mi regalò la gioia di diventare padre.
Nacque infatti Jago. Nel 1951, conobbi Luciano Bettarini e decisi di ritirarmi per poter reimpostare la voce in chiave baritonale. Nel 17 gennaio 1952 debuttai come baritono nel ruolo di Giorgio Germont ne La Traviata a Siena ma, poiché il risultato non fu soddisfacente, lasciai di nuovo le scene per un ulteriore periodo intensivo di studio.
Il successo arrivò nel dicembre dello stesso anno, quando debuttai nel ruolo di Jeletzki ne La dama di picche di Ciaikovskij a Firenze. Quindi mi avviai verso una sfolgorante carriera che mi portò nei maggiori teatri del mondo, diventai in breve un baritono di riferimento osannato e amato dal pubblico. Cantai in moltissimi ruoli di diverso genere, interpretai più volte il ruolo di Figaro nel Barbiere di Siviglia.
La mia voce era così bella che fu paragonata al bronzo e al velluto, in quanto era potente e solida ma morbida allo stesso tempo. Avevo un’attività incessante. Appena possibile, però, ritornavo nella mia adorata Siena, che per me rimase sempre la città del mio cuore. Dal 1959 fui,insistentemente, eletto ininterrottamente Capitano della mia Contrada, la Pantera, che portai alla vittoria nel Palio del 2 luglio 1963.
Nell’aprile 1962, in seguito ai problemi alla voce, dovuti a un cancro alla faringe, sul quale avevo sempre taciuto e rifiutato l’operazione che mi avrebbe permesso di vivere più a lungo, subii il primo insuccesso della mia sfolgorante carriera: il mio Rigoletto venne infatti contestato dalla critica e dal pubblico della Scala per il poco studio e di avere una vita troppo sregolata.
Nonostante l’avanzare inesorabile della malattia e i lunghi periodi di pausa dalle scene per le cure, cantai fino a quando potei. Il canto era per me fonte di vita, come scrissi ad un amico: “Non temo nulla, in questi momenti, se non – è più forte di me – dover restare io senza la voce. Solo così non potrei più dare nulla agli altri e gli altri a me”.
L’anno si concluse con Don Carlo alla Scala: sarà questo il mio ultimo impegno scaligero. Nonostante le forze cominciassero a mancare, debuttai nella parte di Mefistofele, ne La Dannazione di Faust di C.Gounod, a Napoli, nel dicembre del 1964.
Il 1965 sarà l’anno degli addii: addio a Vienna in Don Carlo, al Giappone con una serie di concerti trionfali, a San Francisco e Los Angeles in Andrea Chénier, e al Metropolitan, proprio nella parte del Marchese di Posa ,in un amaro addio alla vita. Un ultimo debutto, tuttavia: Jago, in Otello, in quella Città del Cairo che mi aveva visto giovane basso.
Trascorsi il mio ultimo anno di vita in solitudine, interrotta soltanto da qualche apparizione pubblica in Contrada e dalle visite di pochi intimi amici, e nel 1966 mi ritirai definitivamente a Sirmione ove mi spensi il 25 gennaio del 1967 a soli 44 anni. Solamente dopo la mia morte il pubblico che tanto mi ha amato ed i miei stessi colleghi vennero a conoscenza della mia coraggiosa lotta contro la malattia. Sono sepolto a Siena e la mia tomba è meta di molti ammiratori da ogni parte del mondo.
2.Amore caro
di Loredana Sardini
Amore caro, ti prego non piangere, so che soffri, so che non capisci, ma credimi è l’unica cosa che devo fare.
Sono malato, inesorabilmente malato e senza speranza di guarigione.
Ho ignorato, poi creduto, poi sperato, i primi momenti anche ostinatamente, di non esserlo. Non io. Mi ripetevo continuamente: mi ama e io l’amo. Non posso morire, non posso lasciarla sola. Questo pensiero, ti confesso, mi terrorizza, anche ora che l’ho fatto.
Mi sento svuotato, frastornato, vivo dentro un incubo. Solo due ore fa ho avuto il risultato inappellabile delle analisi. Non ho speranze. Il mio primo pensiero è corso a te: mi sono visto malato, trasfigurato nel corpo, perché questo accadrà, senza capelli e vecchio, vecchio amore mio, mentre tu sei giovane, bella, piena di vita e d’amore.
Ma non è tutto. Devo dirti fino in fondo. I medici hanno anche ipotizzato la possibilità di un’operazione chirurgica, drastica. Non assicurano che avrò salva la vita, ma sicuramente non potrò più cantare. Amore mio, se non potrò più cantare, la mia vita non ha più scopo; io non posso vivere senza cantare, benché con te accanto.
Destino infame che mi colpisce proprio lì dove io ho attinto per sopravvivere ad una vita misera. Destino infame che prima mi hai dato e poi hai ripreso tutto e non hai pietà per il dolore del mio amore.
Grido la mia rabbia e la mia disperazione.
Devo, amore mio, lasciarti andare. Non ho scelta. Lo so che ora non puoi capirlo, lo so che sei offesa e arrabbiata. Ma il tempo sarà clemente con te. A me rimangono i ricordi del nostro tempo passato insieme e mi aiuteranno ad affrontare la morte. Ricorderò quando siamo andati a Viareggio e siamo scappati sul moscone, io e te da soli e ridendo abbiamo salutato Elettra, in piedi sulla battigia, che rispondeva titubante al nostro saluto. Così i giorni passati a Venezia e a Londra e a casa tua, la sera quando salivo alla fine delle prove. L’atmosfera calda e accogliente della tua famiglia rasserenava sempre il mio spirito inquieto; trovavo te , dolce e sorridente e godevo di quel calore che sempre nella mia vita era mancato.
Ripenso ancora alle scenate di gelosia che non ti ho risparmiato. I miei pensieri nefasti arrivavano improvvisi nella testa; mi bastava scorgere uno sguardo maschile posarsi troppo a lungo su di te, o vedere qualcuno parlarti, sorriderti, corteggiarti perché in me esplodesse il caos. La violenza che sentivo non potevo controllarla.
Ti chiedo perdono per aver tentato di tutto per provarti, per saggiarti, per collaudarti. Ma tu non hai mai mollato e nonostante le provocazioni sei stata sempre lì, disposta a lasciarti stuzzicare e provocare, ma ferma e innamorata. Si innamorata, lo capivo bene e proprio questo tuo amore piano piano mi ha aiutato ad essere meno ‘bastiano’, a conoscere la mia insicurezza la stessa che hanno spesso i bambini. E ora che potevamo sposarci, che finalmente la tua famiglia ha compreso l’amore che ti porto, ora sono io a lasciarti.
Mio unico amore, vita mia, non mi dimenticare; conserva dentro di te tutti i bei momenti passati insieme, quanto abbiamo riso e quanto bene il tuo amore mi ha fatto.
Ricordati di me, ricorda.
Queste sono le ultime parole che Ettore Bastianini, spirando, è riuscito con grande fatica e difficoltà a dire a Manuela e Manuela le ha raccolte e fatte sue per il resto della sua vita.
3.Storia per cuori rari
di Marianna Alicino
Io sono l’Amore Vero, quello raro e sincero. Molti pensano che l’amore non esista o che sia una illusione. Invece esisto eccome. Mi piace girare il mondo, posare la mano e il cuore su donne e uomini in ogni angolo di tutto il mondo. Attraverso mari, montagne, vette, sabbie, lune e soli. Giorno dopo giorno mi adagio tra romanticismo e passione nelle storie più belle come quella di due cuori rari: Manuela ed Ettore. Lei ballerina, lui baritono. Un grande baritono; per dirla chiaramente, tra i maggiori baritoni del Novecento; calca i più importanti palcoscenici mondiali, accanto a nomi come Maria Callas, Renata Tebaldi, Franco Corelli, Giulietta Simoniato.
Ettore Bastianini nasce a Siena nel 1922 in via Paolo Mascagni senza padre, un figlio di nessuno, in condizioni molto misere. La sua vita di cantante comincia a soli sedici anni quando – alle prese con un lavoro faticoso – conosce Fathima Ammanati, appartenente ad una famiglia di artisti che nota subito la sua sublime voce. In pochi anni, gradualmente, è protagonista di palcoscenici di tutto il mondo, un successo planetario che gli cambia fortemente il destino. Capitano della sua amata contrada (La Pantera) cambia la sua sorte sia artisticamente che economicamente raggiungendo un pubblico appassionato alla sua intensa voce.
Un percorso interrotto presto dalla diagnosi di un terribile male proprio alle sue corde vocali che lo porta presto alla rassegnazione. Non vuole operarsi. In breve tempo si ritira dalla sua vita artistica, riceve le visite di pochi amici e nel 1966 si stabilisce definitivamente a Sirmione. Il 25 gennaio 1967, a soli quarantaquattro anni, non è più sulla terra. Nonostante le sue origini così difficili e una vita così breve, “Bastiano” dicono abbia sempre cercato una sua famiglia ma non ha avuto il tempo di costruirla formalmente per la sua morte prematura. Volle lasciare la sua amata per paura di farla soffrire ma l’Amore ricambiato è già di per sé Famiglia. Io ho continuato a vivere e vivo ancora nelle parole di chi ricorda la sua storia vissuta e vera in compagnia della musica classica e di Siena, sua città natale, che lo ricorda sinceramente per il suo straordinario talento e continuo a vivere nella storia di questi due cuori rari.
4.A spasso con i senesi da riscoprire: Ettore Bastianini, il baritono senese
di Marilena Pirelli
Confesso: ho sempre amato le favole. Nell’infanzia raccontate da mia madre, non mi stancavo mai di sentirmele ripetere pur conoscendole a memoria e poi, quando imparai a leggere, furono le mie prime letture.
Qualcuno dirà: “A che servono le favole? La realtà è ben diversa: un ranocchio resta un ranocchio, un pastorello guarderà le greggi tutta la vita e una povera zucca morirà zucca, sono solo inutili illusioni”. E invece no! Le favole sono un nutrimento prezioso, ci insegnano a sognare: un pastorello se vorrà potrà diventare un principe, magari non bellissimo, una ranocchia potrà trasformarsi in una regina e una zucca in una splendida carrozza pronta a condurre una cenerentola qualunque, fino a ora ricoperta di cenere, al gran ballo, trasformandola in una splendida ragazza.
Le favole ci insegnano ad avere fiducia in noi stessi e a credere nei sogni.
Forse anche Maria amava le favole, altrimenti perché dare un nome così importante al suo figlioletto nato da padre ignoto? Lo chiamò Ettore, chissà cosa sognava per lui.
Ettore Bastianini è la dimostrazione che le favole possono trasformarsi in realtà.
Nasce negli anni ’20 da Maria, donna di modeste condizioni, pare che avesse una bella voce di contralto, e da padre ignoto, Maria mai gliene rivelerà il nome. Cresce a Siena, contradaiolo della Pantera, e il suo mondo sono le strade intorno a casa dove gioca con i suoi coetanei. E’ un ragazzo sveglio, ma i suoi studi si interrompono alla terza avviamento: preparava i ragazzi non abbienti ai lavori manuali. Era questo il suo destino: meccanico, idraulico, chissà.
La nonna di Ettore aveva una botteghina di frutta poco più in là, in Stalloreggi, accanto alla pasticceria del Vanni, Gaetano Vanni. Chiese al Vanni:”O Gaetano, non è che mi prendete il mì nipote come garzone di bottega? E’ un bravo figliolo sa’, vi potrebbe fa’ comodo,e gli insegnate il mestiere”. Il Vanni che non sapeva dire di no a nessuno e che poi conosceva quel ragazzotto che gli stava pure simpatico lo prese volentieri con sé. E così Ettore iniziò a imparare l’arte del pasticcere e trovò un’altra famiglia perché il Vanni proprio lo affigliolò.
Iniziavano presto la mattina , alle 5 o giù di lì, e mentre impastavano cantavano arie d’opera. Il Vanni aveva la passione del canto, faceva parte del coro della Cattedrale detto “ Centuria”. A volte esageravano con il volume e i vicini venivano destati dai loro canti a quell’ora del mattino e un po’ si infastidivano, ma il Vanni era un brav’uomo e poi…cantava bene.
Insomma Ettore impastava e cantava, consegnava le paste e cantava.
Il Vanni era colpito dalla voce del ragazzo, gli sembrava tanto bella e lo portò con sé alla “Centuria”. E anche qui la sua voce fece colpo , questo ragazzotto che non aveva mai studiato, ma che bella voce che aveva. E dissero: “ Ora si porta dai maestri Ammannati! Sentiamo che ne pensano loro”.
Adelmo e Fathima Ammannati abitavano in via S. Pietro e nella loro abitazione avevano una scuola di musica con una piccola classe di allievi. Si videro arrivare in processione questi ragazzi tutti eccitati che accompagnavano la loro scoperta. Ettore, poverino, era imbarazzatissimo: “ Ma che si sono messi in testa questi!” pensava ”Ma io mica so’ un cantante, so’ uno che canta perché mi piace cantà, quando mi pare e quando mi viene”.
I maestri Ammannati si dimostrarono molto accoglienti con questo ragazzino che spaurito e sospettoso all’inizio, poi si sciolse e prese un po’ di fiducia. Dette quindi con gran timidezza una prova del suo canto, Adelmo e Fathima si guardarono e annuirono, il ragazzo aveva stoffa da vendere. Ettore invece era deluso, non aveva un goccio di saliva, che brutta figura aveva fatto, ma tanto che gli importava.
Gli Ammannati vollero parlare con la sua mamma e presero accordi perché Ettore iniziasse a prendere lezioni da loro, gratuitamente, era naturale, e in cambio Maria avrebbe sbrigato per loro qualche faccenda e Ettore nel tempo libero avrebbe fatto il fattorino e aiutato gli Ammannati come poteva andando anche a prendere da scuola la figlioletta Franca, Biba, alla qual rimase legato da grande affetto tutta la vita.
Iniziò così per Ettore a 17 anni, un’altra pagina di vita e trovò un’altra famiglia che lo accolse come un figlio, si applicava alle lezioni di canto con grande diligenza e volontà, inquadrato dal suo maestro come basso…
Bene ha fatto Siena Salute in collaborazione con Confesercenti a dedicare a Bastianini la seconda delle passeggiate serali per le strade di Siena dedicate ogni giovedì a un illustre personaggio senese.
Nonostante la data, 1° agosto, eravamo un folto numero a Fonte Gaia in attesa di partire alla scoperta del nostro personaggio. Divisi in due gruppi, abbiamo iniziato un percorso a ritroso, dal Teatro dei Rinnuovati, primo successo di Bastianini baritono, inerpicandoci in salita per le strade di Siena, srotolando all’indietro il suo cammino di vita fino a via Mascagni dove nacque e dove è stata posta una targa a suo ricordo. Quindi Stalloreggi con fermata al n.72, una volta bottega della pasticceria del Vanni, e ancora in salita per Castelvecchio fino alla Contrada della Pantera che lo vide contradaiolo appassionato e Capitano vittorioso.
E già, fu sempre fedele alla sua Contrada, anche negli anni in cui era all’apice della carriera, in giro per il mondo, quando poteva, tornava a Siena in Pantera, accolto come un figlio.
Nel ’59, all’apice dei suoi successi, gli fu proposto di fare il Capitano della sua Contrada e lo considerò un grande onore, inoltre se lo poteva permettere, diceva, guadagnava tanto allora e a quei tempi era il Capitano che pagava il Palio vinto. Fu molto munifico con la sua Contrada , le regalò la sede, il Museo e le monture. Tuttora per i panterini Ettore è un mito.
Tra di noi c’erano anche il nipote del Vanni, Marcello, autore di un recente libro su Bastianini e Andrea, il figlio di Franca, la figlia dei Maestri Ammannati.
Nel tempo Andrea ha raccolto la corrispondenza che i nonni avevano intrattenuto negli anni con il loro figlioccio, e che avevano custodito gelosamente come un piccolo tesoro.
Grazie all’interessamento degli Ammannati fece il servizio militare in aviazione e risale a quel periodo una fitta corrispondenza epistolare con loro in cui scrive quanto gli mancano la piccola Biba e la signora Fathima e ringrazia i suoi Maestri perché senza di loro sarebbe stato solo un pasticcere, “ ma ora tutto è cambiato”, scrive” devo studiare con volontà con un solo scopo: riuscire ad essere qualcuno!”
Dunque Ettore debuttò da basso a Siena al teatro Rex e poi il volo … a livello nazionale, ma anche il Cairo e poi il Sud America. Nel ’52 un altro incontro che gli cambiò la vita: il maestro Bettarini che gli consigliò di cambiare registro: da basso a baritono. Questo gli avrebbe offerto ben altra gamma di repertori e anche di guadagni. Dopo un anno sabbatico di studio intenso lontano dai teatri l’esordio a Siena come baritono, al teatro dei Rinnuovati nel ruolo di Germont, con tiepido successo; nemo profeta in patria, verrebbe da dire. Ma la prima grande conferma del suo talento fu a Firenze al Teatro Comunale pochi mesi dopo e di qui la grande ascesa in tutti i più importanti teatri in Italia, Europa e America. Ormai lo chiamavano dal Metropolitan di New York alla Scala di Milano, famosa una Traviata con la Callas e la regia di Visconti nel ‘55, lo volevano tutti i più grandi direttori d’orchestra del tempo.
Ma restava un uomo semplice, legato alle sue radici, lui che radici non ne aveva.
Erano i Vanni e gli Ammannati suoi punti fermi, e le famiglie degli amici che l’avevano sempre ospitato da ragazzo e che famoso, non ha mai dimenticato.
Ha una compagna, una corista di nome Diva da cui ha un figlio, lo chiama Jago, più tardi il ragazzo modificherà il suo nome nel meno impegnativo Marco. Ma non è stata Diva il suo grande amore. Sarà Emanuela, una giovanissima ballerina della Scala, con la quale avrà un amore segreto, avevano deciso di sposarsi e costruire una casa dove andare ad abitare.
Ecco, per essere una vera favola, quella di Ettore dovrebbe terminare qui, e potrei scrivere che il nostro eroe al culmine del successo sposò la sua principessa e vissero insieme felici e contenti.
Ma vi siete mai chiesti da bambini, ma poi che succede, poi? A me è sempre capitato, sono sempre stata curiosa del poi.
Purtroppo la favola di Ettore Bastianini è stata una favola bellissima ma breve.
Nel ‘62 , mentre era a Chicago ebbe la prima diagnosi di quella malattia che se lo sarebbe portato via di lì a pochi anni. Non volle crederci e continuò a cantare. Nel ’63 fu Capitano vittorioso, vittoria amara, di lì a pochi mesi avrebbe avuto a Vienna la diagnosi definitiva: tumore del faringe.
Ecco, la sua favola termina a Vienna, dove è arrivato insieme a Emanuela, il primo viaggio da soli insieme, e noi immaginiamo questa ragazza felice e ignara accanto al suo grande amore, insieme per la prima volta e poi…Ettore dopo la diagnosi volle troncare senza spiegazioni la sua relazione, immediatamente, mise Emanuela sul primo aereo per Milano e la rispedì via. Sembrò una crudeltà estrema alla giovane, ma fu grande atto d’amore invece verso una ragazza così giovane a cui non voleva imporre anni di sofferenze accanto a lui.
E dopo iniziò il declino, Ettore rifiutò di operarsi, l’intervento avrebbe decretato la sicura fine della sua carriera ma forse gli avrebbe regalato qualche anno di vita in più. Continuò a cantare ma la sua voce non era più quella voce di “bronzo e di velluto” di un tempo, i critici gareggiavano nell’attaccarlo dando la colpa alla sua vita irregolare e dissoluta, nessuno conosceva la verità, erano gli effetti della radioterapia e delle chemio alle quali si sottoponeva con la speranza di fermare quel diavolo che aveva in gola. Fu fischiato alla Scala e l’ultima sua recita, nel ’65, fu al Comunale di Firenze, strana coincidenza del destino, nella Tosca nel ruolo di Scarpia. Erano presenti i coniugi Ammannati, visibilmente scossi e con il volto coperto di lacrime, loro conoscevano il suo segreto. Morì due anni dopo.
Questo ragazzo che non ha mai saputo chi fosse suo padre ha avuto tante famiglie che lo hanno amato e che ha contraccambiato, e tre grandi amori: il canto, la Contrada e la giovane Emanuela che lasciò per non farla soffrire e che, proprio lei, gli fu accanto gli ultimi giorni di vita e volle vestirlo per l’ultimo viaggio.
5.Ettore Bastianini, la rockstar dell’Opera
di Stefano Bergonzini
La seconda serata della bella iniziativa “Le Scoperte” era dedicata al baritono senese Ettore Bastianini.
Ho accettato con piacere l’invito che mi è stato fatto, in qualità di partecipante al corso di “scrittura creativa” di scrivere un piccolo resoconto della serata.
Premetto che non sono un melomane, Bastianini non lo conoscevo, non sono nemmeno senese, anche se vivo qui da circa 10 anni. Ho pensato quindi di scrivere riguardo la sua vita, del Bastianini “personaggio”. In realtà la serata non è iniziata bene. Il nostro “coach” Arsenio Siani ci comunica che non potrà essere presente.
“FO’ DA ME”.
All’appuntamento in piazza del Campo ci sono forse un centinaio di persone, meno della scorsa volta, ma del resto la stagione avanza.
Dopo aver espletato piccole formalità si comincia.
Sono previste 3 tappe: al teatro dei Rinnovati dove Bastianini ha esordito, giovanissimo, nella Traviata; in via Mascagni dove è nato e dove , da qualche anno, una lapide lo ricorda; nella sede della Pantera, contrada della quale è stato Capitano (vittorioso, come sottolinea la nostra guida) e benefattore.
Nasce nel 1922, “figlio di n.n.” e non è un inizio facile…
Dopo la scuola elementare non frequenta le medie ma “l’avviamento” (scuola che avvia ad un mestiere più che ad una professione, adesso si direbbe “piano B”) che peraltro non termina neppure.
Lo troviamo difatti, diciassettenne, “garzone di pasticceria” ( e poteva andargli peggio)…
In realtà non poteva proprio andargli meglio.
Il titolare, lui si melomane, intravede nel ragazzo grandi qualità canore e lo convince e raccomanda a frequentare una validissima scuola di canto, quella della famiglia Ammanati.
Le prime lezioni, la scoperta delle sue potenzialità e la sfida di farne un eccellente “basso”, la crescita fino al debutto, e siamo arrivati al 1940.
Passano così circa 10 anni, una carriera più che dignitosa, una fama crescente che non si limita all’Italia, però…
un basso non è un baritono, offre meno visibilità, Ettore ha una presenza scenica importante ed una voce duttile.
A Torino incontra il Maestro Bettarini (non il calciatore…) che gli fa cambiare registro (in senso buono).
Torna a studiare per un anno e la trasformazione avviene. Nel 1952 un nuovo debutto , come baritono per l’appunto.
Un breve periodo di assestamento ma poi non lo ferma più nessuno, la Callas, la Tebaldi, Visconti, il Metropolitan di New York…il mondo!
Con il successo arrivano il denaro, le donne.
Lui, povero figlio di N.N. all’apice del successo guadagna un milione di lire al giorno (lo dichiara ma non in maniera sfrontata).
Si toglie ogni sfizio, ma aiuta i concittadini bisognosi.
Ha un figlio ma non una famiglia.
Ama la sua città ma non ci torna spesso, per gli ovvi impegni di lavoro.
Accetta però di fare il capitano per la sua contrada, vince un palio, dona la sede, il museo.
Alla vigilia dei 40 anni si innamora di una ballerina della Scala, di 17 anni, una ragazzina.
Con lei instaura un rapporto “rispettoso” (bravo, mica come qualcuno dei nostri tempi).
Che vita incredibilmente intensa.
Purtroppo finisce troppo presto.
Nel 1962 insorgono i primi sintomi di un tumore alla faringe.
Nel 1963 ha la diagnosi definitiva.
Decide di non farsi operare, soluzione che avrebbe comportato la perdita della sua voce, condannandosi a morte certa.
Tiene nascosta la sua malattia, continua ad esibirsi, purtroppo con qualche incidente di percorso causato dalla sua condizione.
Per la prima volta “la Critica lo critica”.
Canta fino al 1965, poi il male, inesorabile, gli chiede il conto.
Morirà nel 1967, a meno di 45 anni, senza una vera famiglia, come peraltro aveva sempre vissuto.
Ettore Bastianini, con quella vita, fosse nato 20 anni dopo, adesso sarebbe un mito.
Ettore Bastianini, praticamente una Rock Star (spero mi scuseranno i melomani).