L’adolescenza è quella fase che culturalmente va dallo sviluppo puberale al marcatore sociale della maggiore età, in cui ci si impegna a individuarsi dalla propria famiglia di origine ossia a domandarsi in che modo apparteniamo ai contesti relazionali e in che modo allo stesso tempo siamo unici, originali e individuali.
Spesso i genitori non comprendono le ragioni dell’ostilità dei figli, le leggono come rifiuto, mancanza di riconoscenza e vi si oppongono. In realtà l’adolescente sano scalpita per esplorare quanto di buono il mondo ha da offrire e vuole farlo da sé, con gli amici o col partner in caso, non con mamma e papà. Ha bisogno di sapere che si fidano della sua adeguatezza, che può riuscirci, così che si possa fidare di se stesso. Tutta l’adolescenza è una ricerca di validazione di sé. Si cercano modi di essere che rappresentino al meglio chi si vuole essere e con cui si riesca ad ottenere riconoscimento del proprio valore. Oggigiorno però sembra più una smania di successo sociale. Nella società “narcisistica” imperniata su pseudovalori quali bellezza, notorietà, performance grandiose, sperimentare un senso di vergogna, di insufficienza, di inferiorità è una realtà ampiamente diffusa negli anni dello sviluppo giovanile.
La vergogna e la rabbia per la propria percezione di bruttezza e inabilità fanno scatenare l’adolescente contro se stesso. Ai tempi del covid in cui il gruppo dei pari, gli amori, lo sport, gli hobby, la scuola, vengono meno, la possibilità di avere quel supporto e quel feedback positivo su di sé sono compromessi e così si assiste all’altra pandemia, quella della salute mentale a rischio, di tutti, adulti, anziani, bambini e soprattutto, adolescenti. Aumentano in modo vertiginoso gli adolescenti con atti di autolesionismo. L’isolamento a cui i giovani sono costretti è esattamente l’opposto a cui tendono naturalmente; rapporti sociali, avventura, esplorazione. L’autolesionismo nasce come reazione a stati di ansia e depressione che si tenta di “contenere” col taglio.
Come ci spiegano gli adolescenti stessi, col taglio “fanno uscire” quello che non sopportano e non riescono a gestire, su cui non sentono di avere controllo. Potremmo dire DI una fragilità sociale che viene prima del covid ma che, nell’isolamento e nell’incertezza generale, ha preso particolarmente vita. Non mancano tra gli attacchi al corpo insieme al “cutting” (tagliarsi) i disordini alimentari, nelle ragazze soprattutto. Un tentativo ingenuo di manipolare un’immagine di sé corporea che restituisca un senso di competenza e adeguatezza. Non è mai un problema alimentare per quanto la preoccupazione per il cibo ingerito e sul peso è costante. E’ una fame di sicurezza, di legami, di riconoscimento, di amore. Ci sono poi soprattutto al maschile, forme di ritiro drammatico dalla socialità e dai contatti anche coi familiari. Quel corpo va nascosto tanto è impresentabile. Sembrano tutte espressioni di insicurezza ma anche una protesta silenziosa, verso chi ti vorrebbe diverso. Una denuncia della faticosa ricerca di un vero sé.