Si sente spesso parlare di bullismo: prevaricazioni fisiche o verbali perpetrate nel tempo da parte di uno o più studenti ai danni di un altro, percepito come più debole.
Questa è la teoria. Ma vi siete mai chiesti cosa prova la vittima di bullismo? E il suo carnefice? Apparentemente si mostrano agli antipodi. La vittima designata è in genere un bambino insicuro, incapace di difendersi, in una situazione di svantaggio di qualsiasi tipo. Il bullo appare sicuro, con una buona autostima, un leader. Quello che insomma sembra dividerli e far sì che uno sia bullo e l’altro bullizzato è la maniera con cui si rapportano al proprio sé. Ma uno studio di Christina Salmivalli del 2001 mostra come ciò non sia del tutto vero: se per le vittime i livelli di autostima sembrano molto bassi anche per il bullo ci sono ambiti in cui non si sente sicuro. Se la percezione di sé nell’area delle relazioni interpersonali e dell’immagine fisica pare buona, non lo è altrettanto nell’ambito scolastico o familiare. Potremmo dire che anche il bullo ha il suo fardello di insicurezze da cui tenta di alleggerirsi prevaricando gli altri.
Il fenomeno ci coinvolge tutti perché i danni del fenomeno non si scontano solo a breve termine. La mancanza di progetti mirati tanto alla prevenzione quanto all’intervento provoca danni non solo in chi è direttamente coinvolto, ma per la società. I rischi per la vittima sono problemi di ansia, depressione, addirittura uno studio londinese ha dimostrato come gli effetti del bullismo si manifestino anche a distanza di quarant’anni con le vittime che presentano peggiori condizioni di salute fisica e psicologica. Ma la vittima non è la sola ad essere in pericolo nel futuro. Il rischio esiste anche per il bullo se impara che l’unica modalità di affermazione di sé è la sopraffazione dell’altro, la violenza.
“Le fiabe non insegnano ai bambini che i draghi esistono. Loro sanno già che esistono. Le fiabe raccontano ai bambini che i draghi possono essere sconfitti.” Gilbert Keith Chesterston