Alle difficoltà economiche che penalizzano i giovani italiani nel perseguire il loro progetto di vita autonomo, dobbiamo aggiungere un altro aspetto diffuso nelle famiglie di oggi molto più che in passato.
I cambiamenti socioculturali che hanno portato ad un ruolo sempre più alla pari tra madri e padri, hanno consentito tanto l’emancipazione femminile, quanto la riscoperta di un ruolo affettivo da parte del padre, che può godere di una vicinanza ai figli non più delegata interamente alla mamma. Se da una parte la riscoperta del valore aggiunto paterno è senza dubbio una buona cosa, dall’altra però, noi esperti abbiamo spesso modo di osservare che l’aspetto normativo nella “famiglia dell’affetto” viene meno. Questo porta a due svantaggi. Da una parte manca la possibilità per i figli di fare esperienze di frustrazione utili alla crescita e al rodaggio delle abilità sociali di confronto con gli altri, che sia la sfera privata che specialmente quella scolastica e lavorativa, dall’altra, proprio questo clima disteso di assenza di conflitto, porta i giovani ormai più che adulti a protrarre la convivenza con i genitori a lungo. Sembrano avere capra e cavoli, hanno un’entrata economica seppur modesta e allo stesso tempo godono dei privilegi di un accudimento interminabile. Spesso fanno anche delle vere e proprie convivenze in casa con il partner. Questo regime lassista non è certo di sostegno ed incoraggiamento a cercare la propria strada e quando si verificano le condizioni per andare, ecco spesso scatenarsi un disagio psicologico ad esprimere la paura e insieme l’incertezza di vivere con un bagaglio di risorse acerbe. I genitori dal canto loro, possono evitare che i figli se ne vadano per ingannare il tempo che passa, per una crisi coniugale che se i figli lasciano il nido viene fuori, i figli come detto, rimandano per le difficoltà di percepirsi grandi abbastanza, tutto porta a quello che gli psicologi chiamano “stallo generazionale”, una condizione per la quale è ormai più frequente che il nido sia pieno che vuoto.
Infine una riflessione sul vuoto d’identità diffuso tra i giovani che non sanno più cosa vogliono fare da grandi. Quando la famiglia impone un destino, c’è poco da riflettere, quel che devi fare è scontato seppur insoddisfacente e castrante ma anche quando tutto è possibile, la situazione non facilita. Mettere regole, limiti, creare delle mura solide, sono non solo di contenimento ma anche di supporto per la costruzione di una personalità strutturata. I figli di oggi sembrano in balia delle tante e nessuna possibilità che gli vengono proposte, i genitori sono disorientati quanto loro, nessuno ha un pensiero chiaro su cosa è meglio fare e il figlio impara incertezza e smarrimento. Mancano valori definiti di riferimento, abbiamo perso i riti che segnano i passaggi di crescita, fare il militare, sposarsi, fare dei figli, mancano le basi solide di un’appartenenza familiare troppo spesso messa in discussione, le relazioni sono più virtuali che reali, le condizioni lavorative precarie. Costruirsi un’identità, significa riferirsi a dei modelli di riferimento per una riedizione personale ma se di modelli significativi e convincenti non vi è traccia, capire chi e come si vorrebbe essere diventa un dilemma esistenziale che sempre più di frequente necessita una psicoterapia personale per riuscire a sentirsi in grado di essere adulti.