Eccoci alla terza passeggiata de Le scoperte con gli scopri-teller di SienaSalute che si sono cimentati in storie appassionanti!
Eccole!
1.La magia…mica tanta
di Patricia Zagordo
Quella notte stranamente scesi dolcemente nel sonno come non accadeva da tempo e fluttuando mi ritrovai a viaggiare in una città medievale. Mi sentivo strano e con gli indumenti fuori tempo, ero fortemente incuriosito dal mio viaggio, tutto poteva accadere, ero in uno spazio a me ignoto in una notte senza tempo; decisi allora di assecondare il mio sogno e mi lasciai trasportare serenamente in quella meravigliosa città.
Vedevo ciondolare un cartello arrugginito che compariva e scompariva magicamente davanti a me, aveva una scritta ma non riuscivo a vederla nitidamente. Era una strana forma d’italiano.
Ricordo una notte piena di stelle con l’aria umida e nemmeno una brezza che portasse lontani gli odori che sprigionava una fonte, dopo seppi che si chiamava fonte gaia. Probabilmente mi trovavo nella piazza principale per la sua superficie imponente, era particolarissima a forma di conchiglia, magnetica, magnifica… si trovava su un fianco della piazza, diagonale a un maestoso edificio con una torre e un immenso orologio che assomigliava ad un occhio, custode degli spazi ora silenziosi. Il mio sguardo saltellava qua e la cercando risposte a domande che non riuscivo a formulare, con la coda dell’occhio intravidi una sagoma umana accanto alla fonte e precipitosamente mi avvicinai! La mia voce era stata inghiottita per qualche incantesimo, ma quell’uomo capì che ero assetato del suo racconto.
“Siamo nella città di Siena” mi disse, “e io sono il bottinaio Giuseppe, appartengo a una delle famiglie più note dei bottinai di Siena insieme a Vincenzo e Giovanni, miei discendenti. Questa città non ha fiumi e per molto tempo abbiamo cercato la Diana, il mitico fiume, senza riuscirci; avendolo trovato, avremmo potuto vantarci con Firenze, baciata dall’Arno. Loro non temono la siccità, invece noi eravamo alle strette… e abbiamo dovuto aguzzare l’ingegno. Tutti noi avevamo bisogno d’acqua per rendere prospera la nostra città. I campi oramai erano incolti e poco a poco sempre più la povertà si spandeva sulla nostra terra a macchia d’olio. Allora abbiamo deciso di costruire dei tunnel chiamati bottini per raccogliere l’acqua piovana grazie alla permeabilità del terreno, portandola così alle fonti, alle case. E’ stata una grande impresa, difficoltosa e piena di imprevisti! Lavorare sotto terra è stato arduo! Gli operai per lavorare al buio avevano problemi alla vista e furono chiamati guerci.
Il mio lavoro consiste nel custodire i bottini, farli mantenere puliti togliendo i residui duri come roccia che forma il calcare della nostra acqua, regolare l’uso e la destinazione a seconda dei bisogni, garantendo così un servizio per tutti… soprattutto per quelli più svantaggiati. L’acqua è un bene prezioso fonte di vita ed è per questo il nostro compito è di grande rilevanza … e il nostro operato indiscusso.”
Io ero stupefatto … e, tutto a un tratto, il sole sorgeva accompagnato del rumorio della gente e dei versi degli animali che lentamente popolavano la grande piazza per iniziare il mercato, come la creazione di un dipinto. C’era un gran chiasso intorno alla fonte e una gran confusione armoniosa di voci che incitava a muoversi. Deambulai per tutta la piazza, osservando, scrutando, ma nessuno mi notava, ero invisibile agli occhi ancora addormentati dei mercanti. Ritornai alla fonte come tirato d’un filo ma colmo di odori e suoni, ero magneticamente attirato del rumore del sibilo dell’acqua contro la pietra, contro la frutta e verdura, contro le interiora degli animali che versavano il sangue tingendola prima di rosso violento e poco a poco meno scioccante e debole.
Giuseppe mi raccontava che ogni fonte aveva differenti usi u n po’ per la portata dell’acqua, un po’ per regolare l’uso facendo sì che alla gente gli arrivasse il più pulita possibile. Mi nominò le fonti di tutta la città: le fonti del casato, del mercato, del ghetto, di pantaneto, fontenuova… spiegandomi che non tutte avevano il proprio bottino e ricevevano l’acqua del trabocco di fonte gaia. Mi disse anche che custodiva le fonti da vandali e aggressori e che di sera era vietatissimo avvicinarsi alle fonti a meno di 7 metri. Credo, scherzosamente, mi disse che quella sera io era stato fortunato!… la realtà è che c’era chi aveva perso la vita sul rogo per aver violato o ignorato le regole.
Camminammo insieme e mi portò a vedere altre fonti, alcune custodite con ringhiere in ferro per evitare così che gli animali per dissetarsi sporcassero il benedetto dono. Durante il tragitto incontrammo suo figlio Vincenzo, mi salutò con un ampio e orgoglioso sorriso di chi ha la chiave della città e del potere … e così era. Ogni tanto ci fermavamo e il bottinaio m’invitava ad accovacciarmi vicino al bottino con un orecchio attaccato al tombino gelido e chiudendo gli occhi mi lasciai rapire dal fruscio della ninfa che scorreva dolce, decisa e nutriente diritta al suo bersaglio.
Faticosamente riaprii gli occhi ed eravamo di fronte ad un’altra maestosa fonte: fontebranda. davanti a noi c’era Giovanni, il più giovane e il più esuberante della famiglia; si avvicinò e mi salutò allegramente e mi raccontò con passione come era organizzata quella fonte.
“Non possiamo permetterci di sprecare nemmeno una goccia d’acqua!” esultò. “Sai che è un bene prezioso ed è fonte di vita?” mi chiese.
“Certamente!”annuii ma in fondo al cuor mio arrivando del secolo xxi non ero mai stato così consapevole né della fortuna di averla aprendo distrattamente un rubinetto né della fatica fatta dei nostri antenati nel medioevo.
L’ acqua della vasca principale fuoriusciva direttamente dal bottino, chiamata anche Pescaia perché ci tenevano i pesci che fungevano come pulitori naturali, era protetta con una copertura che la proteggeva da eventuali sporcizie ed era utilizzata per i bisogni principali , dopo scorreva per un solco che la portava a una superficie concava formando una piscina dove bevevano gli animali, poi scivolava ancora verso i lavatoi e così via fino all’utilizzo finale, ovvero l’irrigazione dei campi.
Ricordo d’ essermi incantato con le sue spiegazioni tecniche ma ero profondamente colpito dalla emozione che emanava il suo corpo, certo dell’importanza del suo lavoro per il bene della gente.
E quel che magicamente ebbe inizio, magicamente finì.
La sveglia suona insistentemente, è notte fonda, sono le 4, devo alzarmi per andare al lavoro…sono Franco …bottinaio di Siena… e anche oggi l’ acqua è un bene prezioso!!
2.L’ACQUA DI SIENA
di Lucia Simona Paccheriotti
«Nonno, nonno… andiamo alla Fonte!?! Babbo ci aspetta lì».
«Oh nini fa’ piano, la Fonte un scappa, sta tranquillo è li da più di tre secoli, chi te la porta via!»
«Oh nonno Beppe, m’è presa la frenesia… So così contento che mi portiate a fare un giro là sotto. M’hai sempre detto che c’è un tesoro, il tesoro della città! Io e lo voglio vedè.
Giuseppe Gani, classe 1736, si appoggia al bastone, più per scena che per un reale bisogno. Benchè in là con gli anni, possiede una figura poderosa anche se non alta, le sue gambe reggono ancora lunghe escursioni, le mani callose hanno dita larghe e quadrate di chi è abituato al lavoro, capelli radi e brizzolati legati alla nuca col nastro nero, la fronte larga parzialmente nascosta dal tricorno, lo sguardo attento, vigile, autorevole.
Giuseppe conduce una vita serena da diverso tempo, si è ritirato dal suo lavoro di Bottiniere ma continua a seguirne i lavori e non manca di dare suggerimenti al figlio Giovanni, un bravo ragazzo, che ha ereditato il suo ruolo e gli ha regalato questo nipote. L’anziano signore accarezza la testa arruffata del ‘citto’ e il cuore gli si allarga felice: Vincenzo è curioso e vuole proseguire il mestiere, non poteva chiedere di più alla vita. Lui aveva iniziato a ventiquattro anni a dipanarsi veloce e attento nei Bottini guadagnandosi la fiducia dell’amministrazione e dei cittadini.
Giovanni Gani fisicamente non assomiglia per nulla al padre, nutre però lo stesso amore e riverenza per l’acqua e conduce la squadra di muratori, ormai una ventina di persone, con competenza affinchè i canali e le vasche rimangano pulite dal calcare, i ‘dadi’ liberi da incrostazioni ed i cittadini sereni, sicuri di non dover patire neanche nei momenti di maggiore siccità, come in questa estate così calda e asciutta. Sta aspettando dietro la Fonte il padre ed il figlio per farsi un giro extra all’interno delle condotte scavate direttamente nella pietra arenaria che regge l’intera città. L’arenaria è perfetta per i Bottini, lascia filtrare l’acqua piovana lungo le pareti e tutto sommato si scava piuttosto bene.
«Babbo, babbo siamo arrivati» Vincenzo e il nonno scendono dal Vicolo di San Pietro, in basso l’arco ai piedi delle scale immette nella Piazza. La Fonte Gaia brulica di persone, c’è chi lava la verdura, chi la frutta. Un macellaio cerca di rendere pulite le interiora del vitello appena macellato davanti alla Cappella. Dei ragazzini scalzi si divertono a pesticciare il trabocco per rinfrescarsi. Una voce femminile urla loro di farla finita. Giuseppe vorrebbe dire a tutti di rispettare quel bene, di non infettarlo, di tenerlo da conto perchè Siena non ha un fiume sotterraneo e per aver inseguito la Diana inutilmente, s’è beccata pure lunghi versi di scherno da quel fiorentino rinnegato che è andato a morire a Ravenna.
«Dai babbo scendiamo. Mando avanti te, Vincenzo lo tengo nel mezzo così ‘un rischia di perdersi» dice grave Giovanni che non ha un carattere allegro come il padre.
I tre spariscono sotto terra, ognuno con un lume in mano per farsi luce, un odore di bagnato li accoglie e li avvolge già prima di arrivare in fondo alla scaletta. L’ultimo chiude la botola dietro di se.
«Nonno ma quando sono stati scavati i Bottini?»
«Hanno iniziato prima della peste nera del 1348, col Governo dei Nove, mi pare nel 1334. Du’ squadre di scavatori so partiti una da Piazza l’altra da Camollia e si so incontrati a Fontegiusta, nell’Istrice»
«E le Fonti fori delle mura? Quelle in basso Pescaia, Follonica, Ovile».
«Un me lo ricordo bene, mi pare che i primi documenti siano del 1226, li chiamavano buctinus perchè hanno la volta a botte. Ma è coi Nove, quando Siena aveva quasi cinquantamila abitanti e era potente e ricca, coi banchieri, i mercanti, le feste. Quando si costruisce il Palazzo e la Piazza e la prima Fonte Gaia, una fontanella piccola e preziosa mica questa di Jacopo, questa è del Quattrocento e si vede, è così rovinata che dovrebbero farla nova».
«Eh babbo babbo, macché nova…. basterebbe fosse trattata meglio. Ma hai visto quanta gente. Dovrebbero prendere l’acqua per bere mica farci il ranno nella Fonte di Piazza. Per le zozzerie c’è Fontebranda, Follonica e tutte quelle più da basso. Queste in città dovrebbero essere usate solo per soddisfare la sete di noi cristiani… N’i Bruco, a San Francesco per esempio…. dovremmo metterci delle protezioni. L’altro giorno c’hanno visto un ciuco dentro l’acqua. Proprio dentro che sguazzava, babbo!» Giovanni scuote la testa mentre parla e pensa che se non finisce questo caldo, l’acqua non basterà a nessuno… I ‘dadi’ che consentono l’approvvigionamento ai nobili paganti dovrebbero essere rialzati dalla base della conduttura per dare priorità al riempimento costante delle fonti, dove tutti possono recarsi… e pensare che i Mignanelli arrivano col secchio proprio all’interno del Bottino, lo calano dal pozzo della corte e via…. e la poera gente invece ha da patì….
«Nonno io farò il mestiere da grande. Sai che farò? Metterò i ferri alla Fonte di San Francesco, anzi la metterò sotto la strada! e scriverò che prima devono essere le Fonti comuni ad essere ricche di acqua, obbligherò a non fare gli orti su tetti delle Fonti, darò ordine che si rispettino i ruoli delle vasche: le prime l’acqua da bere, poi quella per le bestie, poi quella per le lavandaie, poi per i lavori di edilizia, eccetera eccetera eccetera» Vincenzo parla e sogna!
Sogna del suo futuro di bottiniere, di una famiglia dedita a proteggere l’acqua e intanto prosegue il suo viaggio nelle viscere di Siena, incuneato tra nonno Giuseppe e babbo Giovanni.
3.I bottini di Siena
di Gisella Gualandi
I BOTTINI DI SIENA: UNA RETE DI ACQUEDOTTI SOTTERRANEI DI CIRCA 25 KM. UN’OPERA IMMENSA, REALIZZATA PER L’APPROVVIGIONAMENTO IDRICO DELLA CITTÀ. L’INGEGNO DELL’UOMO, IMPRESE INCREDIBILI …. E STORIE TERRIBILI.
Già da qualche giorno si aggirava nei pressi della fonte. La vedevo arrivare sempre a notte fonda e molto probabilmente, proveniva dal vicolo di fronte ai macelli. Di preciso, però, non capivo da dove sbucasse quella strana creatura. Immaginai che potesse avere un giaciglio nascosto negli orti di S. Caterina, ma non ne ero certo. Quella sera, quando rintoccarono le due, uscii di corsa dalla camera, scesi in fretta le scale e mi affacciai, senza farmi vedere, alla finestra della cucina. Ed eccola arrivare. In cielo splendeva un’ enorme luna piena e finalmente, riuscii a vedere meglio quella sagoma incerta, che tutte le notti girava indisturbata fra le mura della città. Capii, con mio stupore, che si trattava di una ragazzina. Era scalza, la pelle scura, quasi nera, sporca di terra o cenere. Aveva indosso un abito di juta, senza maniche, anch’esso lurido e strappato, tenuto su da un cordone di canapa. Era molto magra, le braccia ossute, così come le mani e i piedi e la testa era coperta da un fazzoletto liso, legato sotto al mento. Non la vidi in volto, ma solo per un momento, il bianco dei suoi occhi impauriti, luccicò nel buio. Mentre si stava avvicinando alla fonte notai che sotto al braccio teneva stretto, quasi come fosse qualcosa di prezioso, un fagotto di stoffa sfilacciata e legata stretta da un laccio, pieno di non so cosa.
Camminava rasente ai muri e per attraversare i due vicoli, invece, correva sempre caproni, veloce e silenziosa come un gatto. Arrivata alla fonte cominciava a bere, piegata a terra come le bestie e subito dopo, ancora grondante di acqua dalla bocca e dai capelli, apriva in fretta quel fagotto e si accucciava su di esso. A quel punto, non riuscivo più a capire cosa facesse. Solo quando si rialzava la vedevo immergere il fagotto, ormai vuoto, nell’acqua della fonte, metterselo di nuovo sotto il braccio e riprendere la sua corsa verso la porta di Fontebranda per poi sparire nel buio. Cominciai ad insospettirmi e ad aver paura. E se fosse una strega, o un pazza e stesse contaminando l’acqua? Dovevo subito riferire ai bottinieri quello che stava succedendo. Non potevo rischiare e lasciare che la gente venisse uccisa da chissà quale veleno.
Ma forse mi stavo sbagliando! A dire il vero, a me sembrava solo una povera ragazza che stava scappando o nascondendosi da qualcuno, o forse non era normale o non aveva nessuno al mondo ed aveva solo fame, sete e tanta paura. Aspettai ancora un giorno e decisi che l’indomani, appena l’avrei vista arrivare, sarei uscito di casa e l’avrei affrontata. Ma non fu così. La notte seguente mentre aspettavo nel mio letto l’ora del suo arrivo, sentii provenire dalle fonti delle urla strazianti, disumane, che mi fecero trasalire e squarciarono il silenzio e la pace di quella notte stellata. Non la vidi più. Di lì a poco venni a sapere che qualcuno aveva visto quello che vidi anch’io e non ebbe scrupoli a denunciare il fatto. Quella povera creatura venne giudicata una strega, e condannata senza nessuna pietà ad una pena disumana: fu scorticata viva e poi bruciata nella Piazza del Campo. Era una sera d’estate del 1262…… e purtroppo si credeva ancora alle streghe!
4.LA MI’ FAMIGLIA DI BOTTINIERI (I GANI)
di Marzia Toninelli
Io so’ Diana. So’ senese di famiglia poverella e pe’ lava’ i panni dovevo anda’ a piedi con la mi’ mamma a Fontegiusta, che unn’era proprio vicino alla mi’ hasa..
Però, un giorno, lì, o ‘un c’ho trovato marito!
Il mi’ Beppe, io lo ‘hiamo ‘osi, ma in vero si ‘hiama Giuseppe GANI, fa’ il bottiniere, cioè è un operaio dell’acqua.
Lui è capocantiere di tutti i lavori nei bottini e nelle fonti.
Questo por’omo s’era stufato di vedemmi partì la mattina e torna’ alla sera pe’ anda’ a lava’ i nostri quattro cenci.
E così, con i due soldini messi da parte, siamo andati a vive in Fontebranda.
Quella fonte é bella e grande, la fatiha sta nel torna’ a hasa…c’è una pettata che toglie il fiato!
Comunque a lui non è bastato. Intelligente com’è, o ‘un l’ha pensata bellina d’anda’ dal governo dei 9 a proporgli di fare tutta una rete di scorrimento dell’acqua sotto la città, pe’ falla arriva’ anche alle famiglie povere.
Ma cheddi’… Dapprima gli hanno detto un no secco: ” ‘un ci s’hanno i soldi! Costa troppo questo progetto!’ “
Ma poi c’hanno ripensato.
E così a Beppe so’ stati assegnati i lavori di opere ordinarie e straordinarie per la manutenzione di molte fonti abbandonate.
Quanto lavora il mi’ poro Beppe!
Ma anche il mi’ figliolo Giovanni (io lo chiamo Nanni perché è il mi’ cittino) e ci s’è appassionato al lavoro del su’ babbino.
Ma la soddisfazione più grande e me l’ha data il mi’ nipote Vincenzo.
Prima ch’io morissi mi si è laureato.
O unne’ diventato ingegnere il mi’ ometto!
A pensa’ a come s’era poveri e ‘gnoranti noialtri!
Anche lui ha seguitato il lavoro del nonno e grazie ai mi’ ometti, ora Siena c’ha 25 km di rete idrica sotterranea
So’ soddisfazioni!
(Quello che ‘un v’ho’ detto è che per anni e anni la mi’ famiglia, e altri dopo, hanno creduto che sotto la città scorresse un fiume e l’hanno continuato a cerca’ fino alla fine dei loro giorni ma senza successo.
Ma il nome, al fiume, e gliel’ha dato il mi’ Beppe.
Si chiama Diana, come me.
Ma, come me, esiste davvero?)