Come abbiamo discusso, il percorso dello Yoga è volto a purificare gli stati mentali da ogni condizionamento, a rendere la mente lucida come uno specchio perfetto affinché la coscienza affacciandocisi possa vedere se stessa, anziché il mondo circostante, causa di sofferenza.
Lo Yoga, e la filosofia Sāṅkhya che lo supporta, sostengono che la natura, di cui sia il corpo che la mente sono espressioni, abbia tre qualità – sattva, rajas e tamas. Sattva è chiarezza, leggerezza, serenità. Rajas è azione, movimento. Tamas è stabilità, inerzia. Questi tre elementi sono sempre presenti in ogni oggetto della natura, in diverse proporzioni. Nello Yoga non esiste bene o male, si tratta semplicemente di sviluppare le qualità più appropriate per ogni aspetto della natura, mantenendo le altre come sostegno. Una candela non può funzionare senza cera, stoppino e una fiamma, questo è il paragone che troviamo spesso a indicare l’importanza della compresenza di tutte le qualità. Pensiamo cosa succederebbe se le nostre ossa si arricchissero troppo di leggerezza, o se il nostro sangue si appesantisse… La mente però ha bisogno di avere una grande proporzione di sattva, di lucidità, se vogliamo che rifletta la coscienza senza distorsioni.
La pratica dello Yoga non può aumentare sattva in maniera diretta ma può lavorare verso la diminuzione di caratteristiche non idonee per la mente, quali rajas e tamas. L’approccio Yoga presuppone che corpo e mente siano legati dal respiro, espressione diretta della coscienza.
Ed è proprio su queste basi che la pratica dello Yoga come la conosciamo dovrebbe lavorare. Utilizzando opportune tecniche corporee e respiratorie, possiamo accedere agli stati mentali e alleggerirli da tensioni emotive, ansie, agitazione, preoccupazioni, torpore.
I movimenti corporei, se ben pianificati ed eseguiti con calma e attenzione, aiuteranno il corpo a incanalare energie in eccesso, limitando le nostre inquietudini espresse a livello fisico senza causare stanchezza e conseguente letargia. Vogliamo cioè abbassare rajas senza aumentare tamas. D’altro canto se ci sentiamo indolenti, un po’ di movimento ci sveglierà al punto giusto. Gli esercizi respiratori aiutano i nostri polmoni a eliminare le tossine, che hanno una forte componente di tamas. E un ritmo respiratorio regolare dà a sua volta ordine all’irrequietezza fisica.
Quello che una pratica (yoga, ma non solo!) non dovrebbe mai fare, è lasciarci spossati, poi innervositi dalla troppa stanchezza. Se invece lavoriamo bene, alla fine di una sessione pratica rajas e tamas avranno raggiunto livelli più bassi rispetto a quando abbiamo cominciato, lasciando spazio a sattva e alla possibilità di fermare la mente e focalizzarla in maniera serena. A questo punto siamo pronti per il lavoro di concentrazione, verso la meditazione.
Alcuni pensano che meditare sia un’attività per pochi eletti, che la pratica debba essere prolungata e non si sentono all’altezza di avvicinarsi a questo percorso. Un minuto di quiete mentale è un inizio promettente che ci incoraggia nel cammino: spesso la mente non sta ferma neanche un attimo. Una buona pratica yoga ci donerà qualche minuto in cui vivere un nuovo stato, forse mai provato.